Il punto sulla Serie C (di Tommaso Maschio)

06.05.2020 11:00 di  Roberto Krengli  Twitter:    vedi letture
Fonte: tuttoc.com
Tommaso Maschio
Tommaso Maschio

Il tiro al piccione non mi è mai piaciuto. Forse perché nel paese in cui sono cresciuto per lunghi anni era pratica diffusa (assieme al più innocuo tiro al piattello) e ricordo ancora qualche piccione moribondo arrivare fino sul terrazzo della mia casa e lì morirvi. Il tiro al piccione di cui parlerò in questo editoriale è certamente meno cruento e vede come bersaglio il ministro dello sport Vincenzo Spadafora in questi giorni al centro del mirino – solo virtuale fortunatamente – da parte del mondo del calcio. Presidenti, dirigenti, agenti, calciatori, colleghi giornalisti tutti uniti nell'attaccare il ministro reo di poco decisionismo sulla ripartenza del calcio (verrebbe da dire della Serie A visto che delle altre serie sembra potersene fare a meno) e di una non meglio chiarita “antipatia” verso questo sport. Il tutto per scaricare su Spadafora le colpe di un'eventuale mancata ripartenza del calcio in Italia e scaricare le responsabilità di un sistema che al di là delle dichiarazioni di facciata vuole continuare solo per mettere in casa soldi freschi e continuare a tenere in piedi un carrozzone che da tempo ormai anziché a una solida e radicale ristrutturazione preferisce qualche ritocco estetico per non mostrare la propria fragilità.

A scanso di equivoci chi scrive non nutre alcuna simpatia per questo governo, ma neanche per quelli che l'hanno preceduto, e trovo che in molti casi avrebbero dovuto prendere decisioni più forti e radicali. Ma è anche vero che gli va concesso il beneficio di inventario essendosi trovato a gestire una situazione imprevista, imprevedibile e quella che è la crisi più grave in Occidente dalla seconda guerra mondiale.

Il sistema calcio però - visto che in questi giorni va ribadendo di essere la terza industria del Paese, che fattura 8 miliardi di euro l'anno e oltre uno ne versa nei conti dello Stato, che dà lavoro direttamente o indirettamente a circa 300mila persone – dovrebbe iniziare a prendersi anche le responsabilità che il suo ruolo impone e non cercare di scaricare le colpe unicamente sul ministro e il Governo, per motivi politici ed economici (in ballo c'è la perdita di una bella fetta di diritti tv che tengono in piedi i conti spesso in rosso delle squadre italiane), di un eventuale stop. A parte la Lega Pro, che abbiamo più volte elogiato in questi mesi per essersi mossa con chiarezza e in largo anticipo, infatti altrove si è ragionato in maniera individualistica con non solo ogni Lega, ma anche ogni presidente, che è andato avanti per la sua strada cercando di difendere il proprio orticello senza visione d'insieme, senza ragionare sul medio (per non dire lungo) periodo, senza approntare un piano B in caso di mancata ripartenza attendendo che siano altri a decretare il de profundis in modo da non prendersi responsabilità di fronte ai tifosi, che giusto per chiarezza sono nella massima parte contrari alla ripresa, e non perdere i soldi delle tv.

Non si può pretendere il rispetto per essere una delle industrie trainanti del Paese e allo stesso tempo non prendersi nessuna responsabilità e dare vita a uno squallido teatrino che rovina l'immagine di un sistema calcio che appare sempre e solo litigioso e incapace, anche di fronte a un'emergenza come quella che stiamo vivendo, di trovare un'intesa, una visione comune e un modo concreto per superare le difficoltà e dare un futuro a un movimento che va ben oltre la Serie A, che di certo è la punta più brillante dell'iceberg, e che è molto più che un semplice gioco.

Tommaso Maschio

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