Rassegna stampa - LA STAMPA: "Dall’oratorio di Trecate alla Champions league con la Igor Novara: la favola di suor Giò nel mondo del volley"

La religiosa nel 1983 fondò la Agil, che oggi è diventata la Igor Novara 
15.07.2020 10:00 di  Roberto Krengli  Twitter:    vedi letture
Fonte: lastampa.it
suor Giovanna Saporiti
suor Giovanna Saporiti

Dai campetti dell’oratorio di Trecate al tetto d’Europa: è l’impresa di Suor Giovanna Saporiti, che con la pallavolo femminile ha saputo lanciare ed esportare prima a livello nazionale, poi in tutta Europa, con l’aiuto dello sponsor Igor gorgonzola, il modello Agil (acronimo di Amicizia, Gioia, Impegno, Lealtà).

La lunga scalata alla vetta è stata coronata un anno fa a Berlino, quando la Igor ha conquistato la Champions.

- Suor Giovanna, saliamo sulla macchina del tempo e torniamo nel 1983: ci racconta il suo ingresso nel mondo del volley ?

«Diciamo che è stato casuale, anche se io sono sempre stata una sportiva da giovane, seguendo le orme di mio padre. Praticavo tennis e basket e me la cavavo. Poi sono entrata in congregazione giovanissima, a 20 anni, delle Sorelle Ministre della Carità di San Vincenzo de Paoli e avevo in testa che lo sport potesse essere un grande mezzo per aiutare i giovani, spesso distratti dalle problematiche legate agli Anni Ottanta, come la droga. Volevo realizzare una pastorale sportiva e ho proposto alle ragazze di creare una squadra, loro hanno scelto la pallavolo. Il progetto Agil è nato così, poi abbiamo costruito il palasport a fine Anni ’80 a Trecate e da lì in poi è stato un crescendo».

- Quale era il suo modo di seguire le partite ?

«Sempre in panchina, le ho sempre vissute di “pancia”, ma ora sono decisamente cambiata».

- In che senso ?

«Gli anni ti portano a essere più riflessiva, più razionale, ma quando ero giovane vivevo la partita in modo passionale, i giovani vogliono sempre avere ragione e soprattutto vogliono vincere sempre (ride, ndr). Ricordo i primi anni, è stata dura, un sacco di sconfitte, poi abbiamo preso il giro giusto, con gli allenatori giusti e abbiamo iniziato a vincere. Alla base di tutto però c’era sempre un discorso educativo importante. Rispetto ad allora, nel mio pensiero si è evoluto il modo con cui offrire il metodo formativo: il mondo dello sport è cambiato radicalmente, oggi il nostro progetto di educazione è molto più professionale e di qualità».

- Ci sono stati i momenti bui ?

«Me lo chiedete sempre, e io ne ho uno in particolare, nel 2003 quando Asystel ci estromise dal discorso. E stava nascendo un bel movimento. Tre anni prima eravamo state promosse in serie A1 e la squadra si era trasferita a Novara».

- Già, se lo ricorda ? In tre anni tre finali scudetto consecutive.

«Sì, era stato un periodo straordinario, avevamo l’entusiasmo che ci portavamo dietro dalla promozione e sfruttammo l’onda. Ricordo a Novara il Pala Dal Lago con 4-5 mila spettatori, dovettero chiudere le porte, non ci entrava più uno spillo! Era la prima volta nella storia del volley femminile che una neopromossa in A1 approdava alla finale scudetto (contro Bergamo di Piccinini e Cacciatori, ndr)».

- E poi ?

«E poi come ho detto, il main sponsor di allora, Antonio Caserta, aveva idee diverse dalle nostre e arrivò il divorzio. Una mazzata incredibile. Avevamo già iniziato a creare il centro sportivo a Trecate e fummo costrette a fermarci. Tutto azzerato, progetti, ambizioni, speranze. Dovemmo ripartire da capo con le orecchie basse. Fu veramente dura, ma quando si tocca il fondo ci si ingegna per sopravvivere, e grazie anche ad alcuni amici puntammo tutto su una ottima programmazione del giovanile. E infatti una delle soddisfazione più grandi è stata la finale nazionale Under 18”.

- Un’altra soddisfazione è arrivata un anno fa ?

«Sportivamente parlando la Champions è il massimo, sicuro, però è legata anche a un grosso lavoro fatto sul settore giovanile, perché Agil o la Igor non è solo serie A, c’è dietro tutto un lavoro, un gruppo di allenatori che abbiamo scelto con attenzione. Ma otto anni di Igor sono stati bellissimi e di bei momenti ce ne sono stati parecchi».

- Lei in campo calcistico è tifosa juventina, come si vedrebbe dirigente di calcio, magari proprio nel club bianconero ?

«Mi vedrei bene, che domande ! E’ uno sport che mi piace, ma per il gioco in se stesso. Poi, pensandoci bene, non so se funzionerebbe, io sono un tipo che non si fa mettere i piedi in testa, amo sempre dire quello che penso. Credo che ogni persona abbia qualcosa da dire, importante è dirlo nel modo giusto e nel momento giusto».

- Ma nel volley femminile è come nel calcio ? Le giocatrici “smadonnano” ogni tanto ?

«Ma no, c’è molta educazione, devo dire che siamo lontani anni luce dalle esasperazioni del calcio. E poi credo sia importante un’etica sportiva da comunicare e lo si fa non a parole ma con gli atteggiamenti. Cerchiamo di essere moderati. Questo non significa che siamo distaccati, anzi siamo molto partecipi».

- Serve pregare per vincere le partite ?

«Pregare serve sempre, e io in panchina lo faccio ogni volta. Lo fanno in tanti, vogliamo parlare di Antonio Conte che va in panchina con il rosario in mano o l’acqua santa di Trapattoni ? E quanti si fanno il segno della croce, anche in campo. Ma sono preghiere quelle ? Intendiamoci, poi magari quelli che pensi essere gli uomini più lontani da Dio pregano davvero, chi può dirlo ?».

- Forse lassù hanno altre cose a cui pensare che al volley, giusto ?

«Dicono così certo. Ma solo per non pregare...».

- E’ mai entrata nello spogliatoio come spesso fanno, o facevano, i presidenti per dare la carica ?

«Mi è capitato quando avevo più autonomia, ora penso non sia opportuno intervenire».

- Alzando la voce ?

«Ho cercato di non farmi prendere dall’emotività, perché non è corretto. Poi dipende, se parli delle giovanili è un conto, della serie A è diverso».

- C’è stato un feeling particolare in tutti questi anni con una giocatrice ?

«C’è stato, ma il nome lo tengo per me».

- Ha pensato spesso, in questi mesi di emergenza sanitaria, al ritorno al palasport ?

«Ci ho pensato e sinceramente non so cosa accadrà. Parliamo di settembre, potrebbero ancora esserci le porte chiuse al pubblico e mi rendo conto che giocare in un ambiente asettico non sarà il massimo: sarà triste, il pubblico porta calore ed entusiamo, soprattutto per le giocatrici. Ma la salute va prima di ogni altra cosa, anche dello sport».

- Come ha vissuto il periodo del Coronavirus ?

«Sicuramente non bene, come tutti, perché si ha questa sensazione di essere potenzialmente colpiti senza accorgerci da qualcosa che poteva distruggerti la vita. Quindi la paura è stata la compagna di questi mesi. A livello sportivo non è stato facile per niente, le ragazze sono state seguite sulle piattaforme digitali dagli allenatori, dalle piccole alle grandi».

- Con quale frequenza ?

«Quotidiana, ogni giorno facevano allenamento in casa, è una cosa che è stata apprezzata anche dai genitori che vedevano le ragazze impegnate per un’ora e mezza al giorno in questa attività che coinvolgeva anche i fratellini e le sorelline».

- A livello mentale ?

«Ancora non lo so, perché non ci siamo ancora trovate con le ragazze della serie A. Io credo che se si riuscisse a iniziare senza troppe restrizioni, la cosa verrebbe superata facilmente. Se invece dovesse succedere qualcosa di analogo a quello che abbiamo visto sarebbe davvero un problema. Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo, ad esempio sanificando i palloni uno a uno».

- Il volley può convivere con il Coronavirus ?

«Speriamo che non ci sia alcuna convivenza ! In teoria bisognerebbe pulire il pallone dopo ogni azione, con le nuove norme, ma sarebbe impossibile, anche da pensare». 

Marco Piatti

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