Rassegna stampa - LA STAMPA: "Scuse e accuse, Pavanati si racconta in un libro: “Volevo solo fare calcio”"

31.07.2023 11:00 di  Roberto Krengli  Twitter:    vedi letture
Fonte: lastampa.it
Leonardo Pavanati
Leonardo Pavanati
© foto di lastampa.it

«Volevo solo fare calcio !» è la prima cosa che Leonardo Pavanati disse al pubblico ministero.

Ora è anche il titolo del suo libro.

«Un racconto vero e reale - scrive - cronistoria del mio annientamento... che forse darà soddisfazioni e gioie ai miei detrattori».

Il presidente del Novara calcio 1908 fallito ripercorre in un’autobiografia la vergogna dell’estate 2021 e i 61 giorni trascorsi nel carcere di Monza. In 285 pagine l’imprenditore si autoassolve e chiede scusa a Novara: «Per il danno che le arrecato, accaduto sotto la mia responsabilità, e per il quale, in piena coscienza, non ne ero consapevole». Quindi si rivolge ai tifosi: «A loro non ho saputo dargli quello che meritavano, e quello che sognavo per loro e per me».

«Capro espiatorio»

Pavanati si definisce «capro espiatorio». Condivide una testimonianza sferzante e drammatica, piena di dettagli raccapriccianti sulla detenzione. È un diario scritto durante la prigionia, ma che si apre con i retroscena dell’operazione per rilevare l’80% delle quote del club azzurro da Maurizio Rullo.

«Mi spiegò che la maggior parte del valore di cessione era costituito da posizioni debitorie fiscali. Accollandomi un debito di poco più di un milione per le spese correnti e di circa 2 milioni con il fisco avrei potuto acquistare il Novara calcio».

Pavanati avvisò l’allora socio e amico Marco Bonanno («formavamo un binomio vincente, io ero il front manager e lui l’esperto in contabilità») per valutare la proposta mentre erano in trattativa per il più oneroso Pescara.

Cominciò le due diligence per rilevare la società azzurra «ma mi venivano forniti dati spesso incomprensibili e insufficienti». Pavanati appariva dubbioso, Bonanno molto più convinto. Il socio convocò una riunione a Roma in cui l’autore racconta di avere incontrato per la prima volta Fabrizio Lisi e Umberto Inverso, poi designati come presidente e vice, e il dirigente sportivo Beppe Cannella. C’era anche Daniele Sebastiani, presidente del Pescara. La sua richiesta venne respinta e si aprirono le porte per il Novara. «Bonanno disse che i debiti fiscali non erano un problema - scrive Pavanati -. Che aveva appena concordato con Tiziano e Iuliano (due revisori, ndr) la possibilità di surrogarli con crediti fiscali certificati di aziende a noi collegate. Non mi posi domande, avevo fiducia in tutto ciò che gestiva».

Con il generale della Finanza

Poi cita altre parole di Bonanno: «Con un generale della guardia di finanza come presidente cosa mai potrà andare storto !?».

Rilevato il club, Pavanati ammette che la sua compagine era in ritardo su tutto.

«I vecchi creditori mi assalivano negli uffici di Novarello. I debiti che dovevano aggirarsi intorno al milione raddoppiarono quasi subito. Ogni volta che versavamo qualche somma sui vecchi conti della società, immediatamente veniva pignorata da debiti che risalivano anche a 3-4 anni prima. In poco più di due settimane fummo costretti a pagare da conti delle mie aziende, delle aziende di Bonanno e in minima parte dai De Salvo, circa 1,4 milioni di debiti improrogabili».

Anche nell’allestimento del settore sportivo si aprirono frizioni, mentre la Covisoc bocciò la domanda di iscrizione.

«Una città intera mi odiava» scrive. Dopo la perquisizione della Finanza («un’irruzione di circa 15 persone»), Pavanati chiese un confronto con Bonanno: «Mi concesse solo 10 minuti per spiegarmi che quasi certamente lo avevano tradito. I suoi collaboratori, a suo dire, avevano agito alle spalle operando in maniera illecita e rubandogli i soldi dai conti. Soprattutto da quello del Novara aperto presso la sede napoletana di Banca Fideuram sempre gestito da Bonanno. Lui asseriva di essere estraneo a tutto e quasi sicuramente il suo braccio destro, l’ingegner Alfredo Esposito, aveva operato infedelmente organizzando illeciti guadagni sulle spalle del Novara».

Risse e suicidi in carcere

Pavanati venne arrestato in un bar di Sesto San Giovanni e condotto in carcere. Racconta i primi giorni in isolamento, poi il trasferimento alla sezione B. Si sofferma sulla convivenza con i compagni di cella («quattro arabi di diverse nazioni»), le risse, le proteste e un suicidio. Torna spesso sui colloqui con gli avvocati e soprattutto con la moglie Francisca («vivo per lei, trovo forza in lei»).

«Bonanno è ai domiciliari, colui che volontariamente e materialmente forse ha eseguito quello che ancora nessuno sa, è nella comodità di casa sua ! I suoi manager non sono neanche indagati ! Senza processo, io pago la folle rabbia di una città che ha bisogno di qualcuno da impiccare sull’albero più alto. Poco importa di chi siano veramente le colpe, intanto giustiziamo il presidente ! Il personaggio che farà più clamore !».

Poi i dolori alle vie urinarie, le corse all’ambulatorio medico del carcere («la sala delle torture») e al pronto soccorso di Monza con le manette. Gli diagnosticarono un tumore al rene sinistro, motivo per cui gli concessero i domiciliari. «Non sono libero, ma almeno sarò a casa. Dovrò pensare come pagare affitto e bollette, trovare il denaro per la rata della Golf, l’unica auto rimasta».

Il racconto riprende a fine dicembre. Pavanati è stato operato e ha parole di affetto solo per la moglie, i legali e in parte per il figlio Fulvio («appare ogni tanto, preso dal suo lavoro di barista»). «Ma tutti gli amici, dipendenti e conoscenti sono spariti. Tutti si sono dimostrati indegni anche solo di essere paragonati ai miei compagni di cella che hanno dimostrato molta più compassione».

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Filippo Massara

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