Il punto sulla Serie C (di Tommaso Maschio)

09.09.2020 11:00 di  Roberto Krengli  Twitter:    vedi letture
Fonte: tuttoc.com
Tommaso Maschio
Tommaso Maschio

Il tema della riapertura degli stadi è uno di quelli che tiene maggiormente banco in questo periodo con le società a tutti i livelli che spingono per riportare i tifosi allo stadio anche in maniera ridotta trovando sponde anche a livello istituzionale oltre che fra addetti ai lavori e semplici appassionati che sperano di poter tornare a vedere dal vivo le proprie squadre. È ovvio l’assenza di spettatori è un danno per tutte le società: un danno a livello economico perché vengono a mancare gli introiti di abbonamenti e botteghino - che per molti sono vitali -, un danno a livello di spinta emozionale e spettacolare, perché giocare senza pubblico rende il calcio uno spettacolo più triste e i giocatori, inconsciamente, non riescono a dare quel qualcosa in più che solo il calore di uno stadio pieno può trasmettere.

Ma la riapertura parziale degli stadi, che sia per mille o diecimila persone, è un qualcosa che personalmente non auspico. Perché gli stadi non sono teatri o cinema, non sono discoteche o pub, non sono solo luoghi di spettacolo e intrattenimento, ma qualcosa in più. Sono aggregatori di una passione popolare che ha pochi eguali, una passione fatta di tifo, di cori, di abbracci e baci al momento del gol (o per un palo o un rigore sbagliato dagli avversari), di bicchieri passati, birre (e non solo) condivise, ma anche scambio di opinioni, proteste nei confronti dell’arbitro o del giocatore che ha sbagliato. C’è una componente irrazionale che muove i tifosi e che non si può trovare in un teatro o in una sala cinematografica, forse solo in certi concerti c’è qualcosa di paragonabile.

Voler sterilizzare questa passione con distanziamenti, mascherine, divieti di abbracci e ingressi contingentati (che capisco essere dettati dal perdurare della pandemia) è qualcosa che va contro la natura stessa del calcio e del tifo. Com’è pensabile che al momento di un gol i tifosi di una squadra debbano esultare singolarmente e non con i consueti abbracci. Vedere immagini come quelle di Parma (in occasione dell’amichevole contro l’Empoli) è un colpo al cuore per chiunque abbia frequentato uno stadio non da giornalista o milordino, ma da tifoso, magari pure all’interno di una curva. O si entra tutti o è meglio continuare a lasciare gli stadi vuoti. E scrivere una cosa del genere è qualcosa che non avrei mai immaginato di poter scrivere. Ma meglio gli spalti desolati a scene con tifosi seduti ordinatamente a “distanza di sicurezza” e silenti. Senza pubblico non è calcio, dicono in tanti, ma non è calcio neanche con questo tipo di pubblico – più simile a clienti che tifosi - che si vorrebbe riportare allo stadio. Che poi sia avere stadi-teatro (con clienti più che tifosi al suo interno) l’obiettivo finale che da decenni si prefissano le istituzioni calcistiche e non è chiaro. Così come è chiaro che la pandemia che stiamo affrontando ormai da mesi possa accelerare un processo dove hanno fallito repressione e leggi repressive.

Chi scrive capisce che il mondo del calcio sia costretto a ripartire e che anche i pochi soldi di un botteghino parziale siano importanti per non far saltare un sistema che fa acqua da tutte le parti (e non da oggi e non solo per colpa della pandemia), ma rientrare a queste condizioni è inaccettabile. Meglio gli spalti vuoti, tristi e silenziosi che riempiti parzialmente da comparse che non aggiungono nulla allo spettacolo e anzi rendono il tutto ancora più deprimente. I tifosi allo stadio torneranno, torneranno i colori, i cori, le urla, gli abbracci, i baci e il calore che da sempre rende questo sport uno spettacolo unico. Ma non ora, non a queste condizioni. Perché, come hanno scritto tanti gruppi ultras in questi giorni: “O si entra tutti o non entra nessuno”. Altre soluzioni non possono esistere.

Tommaso Maschio

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