Il punto sulla Serie C (di Ivan Cardia)

12.04.2021 12:00 di  Roberto Krengli  Twitter:    vedi letture
Fonte: tuttoc.com
Ivan Cardia
Ivan Cardia

“Abbiamo evitato il peggio applicando il protocollo sanitario e rispettando le regole. Ora spero che il governo Draghi intervenga assicurando ristori”. Lo ha detto in settimana il presidente Ghirelli, tornando a bussare alla porta del governo per quei soldi che l’esecutivo finora non ha mai riconosciuto. Al calcio, ma anche a larga parte dello sport professionistico, dal basket in giù (e in quel caso si parla dei massimi livelli). Come se l’appellativo bastasse a vivere di rendita. È l’ultimo approdo di un anno e mezzo nel quale la politica italiana ha spesso e volentieri remato contro lo sport, in questo caso il calcio in primis. Basti pensare al rischio, concreto, di perdere l’Europeo che sta correndo Roma in questi giorni (per quanto lì vi siano pretese anche eccessive e premature della UEFA). Ma torniamo a noi.

Andare avanti senza soldi è difficile, quasi impossibile. È come essere in apnea. Il plauso ai presidenti della nostra Serie C, chi più chi meno, è doveroso. Il tema è come arriveranno alla prossima stagione, quanti avranno voglia di iscriversi in queste condizioni: lo vedremo tra un po’. A un certo punto sarebbe anche il caso di riconoscere che l’impegno per far rotolare il pallone, in un anno nel quale società che di fatto stanno a metà strada tra il professionismo e il dilettantismo hanno dovuto sostenere pressoché gli stessi oneri di quelle che giocano in Champions, non è stato portato avanti per diletto ma perché ha una sua utilità pubblica. E che, esattamente come tutti gli altri settori, il calcio è un’attività produttiva del nostro Paese che non merita di essere dimenticata. Da Conte a Draghi, la musica sotto questo profilo non è molto cambiata, anzi se possibile è peggiorata. C’è un contraltare, però.

Perché il calcio non si aiuta più di tanto. Sotto due punti di vista. Ancora una premessa: è innegabile che questo anno, e la stagione in corso nello specifico, sia stata drammatica sotto il punto di vista economico. L’intento non è sminuire tutto questo, anzi. Però il calcio non s’aiuta al suo interno, prima di tutto. Se le società di Serie A, tutte prese dai propri problemi e dai propri bilanci barcollanti, ignorano quelle delle serie inferiori, è lecito che a Palazzo Chigi e dintorni ci si chieda perché ci debbano pensare loro. In altri Paesi un minimo di solidarietà c’è stata. In Italia, questa sconosciuta. E ancora, il calcio chiede ristori: giusto. Ma cosa è stato fatto sinora per rendere la baracca più sostenibile da luglio 2021 in poi? A oggi, praticamente nulla, se non qualche intervento di maquillage. È un argomento già affrontato in passato, ma su cui tocca ritornare in maniera ciclica. Il pallone che oggi chiede ristori è lo stesso che da marzo 2020 va avanti tra mille sacrifici e soldi buttati perché non torneranno mai in cassa: è giusto che i ristori li abbia. D’altra parte, però, il pallone che li chiede è anche lo stesso che non ha ancora messo sul tavolo la celebre riforma. Si presenterà ai nastri di partenza della prossima stagione con gli stessi format del 2019, del 2018, del 2017. Di un altro mondo, insomma. Non è un problema della C, è un problema di tutti. Oltre a chiedere (giustamente) soldi, è anche il caso di offrire una prospettiva, di mettere sul piatto una visione e dare garanzie concrete su un futuro diverso dal passato. Perché il Covid ci ha stesi, ma ci eravamo già arrivati zoppicanti.

Ivan Cardia

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