Corini convinto sino all’ultimo di avere la squadra in pugno
Anche in tempi di social, Eugenio Corini se ne va senza lasciare l’ultimo messaggio. Del resto ha sempre fatto così. Non è tipo da interviste immediate dopo l’addio, ma basta sentirne il tono di voce per percepire tutta la sua amarezza. Ha detto quello che pensava al termine di Novara-Ascoli e sarebbe pronto a ripeterlo ogni giorno: che la squadra era con lui e che avrebbe avuto la forza di centrare la salvezza.
È però consapevole che il ruolo dell’allenatore è delicato, sempre sotto giudizio e in discussione. I risultati pesano e le sei sconfitte interne hanno inciso sull’esonero. Corini è stato informato domenica mattina, ha incassato la sfiducia e lasciato Novarello con il suo staff. Era arrivato a giugno, ingaggiato dal ds Domenico Teti. Dopo l’esperienza in A con il Chievo e il Palermo, terminata con le dimissioni, Corini aveva accettato di ripartire da capo. Lo stuzzicava l’idea di lavorare cominciando dal ritiro e non più subentrando.
Una timida illusione
Riportare entusiasmo al Piola e coltivare il «margine di sogno» concesso da un campionato equilibrato come la B erano i suoi due obiettivi principali. Le tre vittorie di fila a ottobre con Frosinone, Brescia e Palermo dopo un inizio stentato, più nei risultati che nel gioco, sembravano svelarne la concretezza e invece si sono rivelate un’illusione. Il Novara si è perso nel derby con la Pro e fino a Natale ha battuto solo il Venezia. Corini va dato (e si prende) il merito di aver valorizzato alcuni giovani: su tutti, Alessio Da Cruz e Francesco Di Mariano. Il primo, arrivato a costo zero come esterno d’attacco, è stato spostato al centro e rivenduto a suon di milioni a gennaio. Il secondo, che non vedeva il campo con Roberto Boscaglia, ha brillato nella prima parte di stagione.
L’allenatore è stato aziendalista (è stato lui stesso ad ammetterlo, prima e dopo l’addio) anche durante il mercato, però non è riuscito a dare forma alla squadra, che troppo spesso è parsa priva di un’identità chiara. Di certo hanno pesato i tanti infortuni - uno dei rimpianti manifestati da Corini -, ma il paradosso è che gli azzurri hanno dato il meglio proprio in emergenza: come il 20 gennaio con il Carpi, giorno dell’ultima vittoria al Piola. Spesso sono mancati gli uomini chiave, da Casarini a Sansone, da Chiosa a Maniero. Ma quando gli azzurri hanno subito gol non sono riusciti a reagire. E così buona parte della città, che aveva accolto Corini con tante speranze, ha smesso di credere in lui. Come il club.
Filippo Massara